Riflessione per il 5 giugno 2006, giornata mondiale dell’ambiente
L’ utilizzo del termine “biodiversità” prende piede intorno alla metà degli anni Ottanta come nuovo concetto ecologico, anche se a prima vista può sembrare strettamente legato a quello di “natura” e sinonimo di “risorse biologiche” o “risorse naturali”. Il nuovo termine che deriva dalla contrazione dell’espressione “diversità biologica” ebbe la sua affermazione con la pubblicazione nel 1998 dell’opera di Edward O. Wilson intitolata appunto “Biodiversità”.
Lo studio multidisciplinare della biodiversità ha contribuito a innalzare, specialmente a livello internazionale, il profilo politico di un aspetto critico e precedentemente trascurato delle scienze della vita. Ha inoltre originato un modo preciso e completo per valorizzare la varietà delle forme di vita esistenti sulla Terra da cui ne è emersa l’importanza e l’urgenza di una tutela.
In accordo con la definizione riportata dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), “la biodiversità include la variabilità di tutti gli organismi di qualsiasi origine... e la complessità ecologica della quale fanno parte... con ciò si intende la diversità intraspecifica, quella interspecifica e quella degli ecosistemi”. Infatti al livello della biodiversità rappresentata dalla varietà delle specie, si è venuto ad aggiungere il livello organizzativo inferiore della diversità genetica e quello superiore della diversità ecosistemica, ognuno definibile per specifiche caratteristiche e proprietà emergenti.
Da questa concezione deriva un fatto che spesso non è chiaro ai più, cioè la profonda interrelazione ed interdipendenza che esiste tra settori e livelli diversi o più semplicemente tra tutti gli esseri viventi che costituiscono la biosfera. Questa si è originata con l’inizio stesso della vita sul nostro pianeta quasi quattro miliardi di anni fa. La possibilità della vita sulla Terra è quindi una costruzione unica ed integrata di cui noi stessi come specie facciamo parte, pur essendo gli ultimi arrivati, e come tale dovrebbe sempre venire considerata.
Secondo stime recenti il numero di specie tra vegetali e animali attualmente viventi sul pianeta potrebbe variare tra 10 e 100 milioni anche se fino ad oggi ne è stato descritto un numero compreso tra 1,5 e 1,8 milioni. La biodiversità è distribuita in modo diverso tra i biomi e le foreste tropicali costituiscono l’habitat in cui vive il maggior numero di specie: pur coprendo tali foreste solo un 7% della superficie del pianeta, contengono circa il 50% della diversità globale. Basti dire che in un ettaro di selva amazzonica si possono trovare fino ad alcune centinaia di specie arboree diverse mentre nella nostra foresta temperata se ne incontrano solo alcune decine. Se poi si considera che su un albero tropicale possono albergare alcune centinaia di altre specie tra vegetali e animali, si ha un quadro della complessità, del valore e della priorità di salvaguardare questi ecosistemi unici e fragili.
Le nostre conoscenze sulla biodiversità sono ancora assai limitate, si pensi che solo l’1% delle specie vegetali ed una percentuale ancora minore di quelle animali, è stata studiata in modo approfondito per un possibile utilizzo. Si ritiene che vi siano almeno 80.000 specie vegetali commestibili, ma solo 3.000 vengono utilizzate e di queste solo 150 sono coltivate su larga scala mentre appena 29 di esse costituiscono il 90% della nostra alimentazione vegetale. Questo dato basterebbe a dirci la profonda contraddizione insita nel voler creare organismi modificati geneticamente quando ancora non conosciamo tutte le potenzialità degli organismi che già esistono.
Nel frattempo la biodiversità sta scomparendo ancor prima di conoscerla. Ci troviamo infatti in un’epoca di estinzioni senza precedenti. Mentre oggigiorno la percezione e la consapevolezza di ciò che sta avvenendo con il cambio climatico e delle sue cause è alla portata di tutti - e da qui una preoccupazione diffusa anche se spesso confusa - non si può dire lo stesso per un problema altrettanto grave come quello della perdita della biodiversità.
L’estinzione naturale è una componente stessa dell’evoluzione della vita, che ha visto nel corso di milioni di anni specie sostituite da altre più adatte che ne hanno preso il posto, ma l’ondata di perdita di varietà biologica dall’inizio del ‘900 ha incrementato il tasso di estinzione globale di almeno 1000 volte rispetto al tasso “naturale” tipico della storia della Terra nel lungo periodo. Nei prossimi 50 anni è previsto che il tasso di estinzione sia 10 volte più alto di quello attuale. Nella foresta tropicale il tasso di estinzione è già da 1000 a 10.000 volte superiore e si calcola che mentre la media globale odierna sia di una specie persa al giorno, nella foresta tropicale scompaiono in media 74 specie al giorno, una ogni venti minuti (27.000 in un anno). Per ogni specie vegetale che si perde, da 20 a 40 specie animali che da essa dipendono entrano a rischio.
La velocità con cui avviene questa estinzione minaccia di alterare l’evoluzione stessa i cui tempi di realizzazione sono molto più lenti. Se il numero delle specie si ridurrà troppo non vi sarà più una adeguata base di risorse sulle quali possa continuare ad operare la selezione naturale per mantenere il ricco quadro della vita. I bambini ci insegnano che se si toglie anche solo un numero limitato di mattoncini la costruzione crolla, così può essere per la biodiversità, a causa della stretta interrelazione e dipendenza che esiste tra tutte le forme di vita. L’equilibrio biologico segue una dinamica non lineare per cui anche un piccolo evento negativo può innescare cambiamenti di più vasta portata e modificazioni irreversibili di tutto il sistema.
Le cause per la rapida scomparsa della biodiversità non sono naturali ma dovute al pesantissimo impatto delle attività umane che agiscono sulle specie in modo sia indiretto che diretto. La principale di queste è la distruzione ed il degrado degli habitat naturali su larga scala che frammenta e circoscrive sempre più gli spazi vitali per le specie. Durante l’intero corso della storia dell’umanità, in nessun periodo si è assistito ad un’interferenza con gli ecosistemi terrestri di proporzioni simili a quelle che si testimoniano dalla seconda metà del ventesimo secolo. Basti dire che dal 1945 si sono convertite ad uso agricolo più foreste, savane e praterie di quanto non sia mai avvenuto nei due secoli precedenti. Quasi un quarto della superficie terrestre è oggi coltivato.
Altre cause del degrado sono un prelievo eccessivo ed indiscriminato delle risorse che non permette neppure la rigenerazione delle rinnovabili, l’inquinamento e l’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente, la persecuzione diretta da parte dell’uomo, una caccia e pesca eccessive, il commercio illegale, l’invasione/immissione di specie alloctone estranee che introducono nella biosfera locale profonde alterazioni, e non per ultimo i cambiamenti climatici a cui l’uomo sta contribuendo con un’enorme immissione di gas serra in atmosfera.
Una delle barriere chiave per un comportamento più efficace per salvaguardare la biodiversità è l’ignoranza sui servizi che questa fornisce. La biodiversità andrebbe salvaguardata se non altro per l’immenso valore economico dei servizi che rende all’uomo attraverso gli ecosistemi e che è raramente compreso, perché tali servizi vengono considerati gratuiti a chi ne fa uso. Gli ecosistemi naturali forniscono supporto al ciclo dei nutrienti, alla formazione del suolo, alla produzione primaria; forniscono cibo, acqua potabile, legno e fibre, combustibili; controllano il clima, inondazioni ed esondazioni, la diffusione delle malattie, la purificazione dell’acqua. Senza dimenticare il valore culturale ed informativo della biodiversità che si esprime attraverso l’estetica, la spiritualità, l’educazione e la ricreazione. Questi servizi vanno ad agire sui costituenti del benessere umano, le sue basi materiali, la sicurezza, la salute, le buone relazioni sociali.
Come biologo ed ecologista per me sarebbe più facile tenere posizioni radicali per difendere la biodiversità per il suo valore intrinseco, ma ritengo che sia realisticamente necessario e più produttivo trovare una via per far confluire interessi e prospettive diverse nell’unica via possibile per non arrivare ad un collasso del sistema in tempi più o meno rapidi perché perdere la biodiversità e degradare gli ecosistemi significa anche perdere le condizioni per la vita dell’uomo. Non abbiamo ampie scelte e neppure molto tempo.
Il problema della tutela della biodiversità deve assumere il carattere di un’azione prioritaria dati i connotati di gravità, urgenza e irreversibilità che ha, anche se questa priorità può differire ai vari livelli di applicazione: locale, nazionale e globale. Sicuramente il livello locale deve essere quello di più immediata attuazione perché più circoscritto al territorio su cui si vive. Dovrebbe inoltre venir data priorità a quei sistemi a livello planetario che per la loro particolare ricchezza, le condizioni di fragilità e per la minaccia più forte di distruzione che incombe su di essi richiedono un più urgente intervento come ad esempio le foreste tropicali o le barriere coralline.
Per salvaguardare la biodiversità nel modo più corretto e meno emergenziale bisognerebbe arrivare alla concezione di conservare e gestire interi ecosistemi o ripristinarli, risolvendo in tal modo anche i problemi delle singole specie che ne fanno parte; proteggere gli ambienti naturali con la creazione e consolidamento di parchi, riserve e aree protette (conservazione in situ) mentre una possibilità che ha più i connotati dell’emergenza è quella di mantenere i pool genetici lontano dai luoghi originari in corso di distruzione, in orti botanici, zoo e banche genetiche (semi e germoplasma) (conservazione ex situ). Ma ciò non basta.
Gli impegni che oggi il Consiglio Provinciale prenderà sottoscrivendo l’Ordine del Giorno vanno in una direzione positiva e mi auguro la loro piena realizzazione in tempi accettabili, anche se ritengo che il problema maggiore, la madre di tutti i problemi, non sia in ogni caso affrontato perché costituisce una sorta di quadratura del cerchio. Senza voler fare lezioni a nessuno ma siamo qui a celebrare il valore di qualcosa che volenti o nolenti stiamo distruggendo e di cui possiamo, con queste soluzioni, differirne solo i tempi della fine. Auspichiamo la salvaguardia della biodiversità ma nello stesso tempo non ci si decide ad incidere sulle vere motivazioni per le quali la stiamo distruggendo perché soprattutto non si vogliono modificare le regole della nostra società e del nostro modello di sviluppo. Ritengo che il vero discorso da affrontare sia questo.
Il fatto è che ciò che guida le nostre scelte decisionali a livello politico, sociale ed economico è ancora una concezione della natura e delle risorse del pianeta finalizzata all’uomo in funzione prevalentemente utilitaristica e di sfruttamento. Ma la verità è che i sistemi economici e sociali qualunque essi siano sono sempre e comunque un sottoprodotto della biosfera e non potrebbero esistere se non ci fosse questo pianeta a sostenerli con risorse che non sono illimitate.
E’ una verità spiacevole ma c’è poco posto per la biodiversità in un mondo che pone come parametri del suo benessere, l’incremento dei consumi, la crescita industriale, il PIL e ritiene si possa continuare illimitatamente la depredazione delle risorse naturali. Il concetto fondamentale è che non ci può essere una crescita illimitata. Il pianeta non potrà sostenere sei miliardi di persone che vogliono vivere nel modo in cui sta vivendo una parte privilegiata del mondo e questa parte del mondo non può continuare a crescere senza compromettere il futuro di tutta l’umanità. Ciò non vuole significare regredire a una “crescita zero” ma certo rivedere drasticamente il concetto di benessere da un nuovo punto di vista che certo non può dare spazio ad una visione consumistica e ad interessi egoistici ed accumulativi. La vera democrazia compiuta non potrà che essere una democrazia ecologica. L’alternativa peggiore, che già stiamo vivendo, è un sistema globale in crisi e un mondo che esacérba i conflitti, tentando di risolverli con la forza degli eserciti o del terrorismo.
La scommessa è che si può centrare l’economia e lo sviluppo sociale garantendo a tutti un giusto grado di benessere partendo proprio dall’ambiente. Un economia ecologica produttiva può esistere. La maggior parte dei valori e del sostentamento dell’economia a livello mondiale non proviene dall’estrazione di risorse dalla natura ma dal corretto funzionamento dei fiumi, delle foreste, dei campi. Bisogna guardare a metodi alternativi che mentre da un lato preservano la biodiversità possono generare di rimando risorse vitali e desiderabili ai fini della sussistenza e dello sviluppo. In molti già lo dicono riportando esperienze ed esempi di fattibilità. Ci vuole coraggio, intelligenza, buona fede, altruismo, spirito di sacrificio e grande volontà. Viene da dire valori di un tempo passato...
Si deve trovare un accordo sul fatto che per tutelare la biodiversità non è necessario sminuire la dignità dell’uomo o toglierli la possibilità di realizzarsi nelle sue giuste aspirazioni materiali, al contrario la tutela della biodiversità può diventare sinonimo di sviluppo e di benessere ma richiede un sempre maggior impegno e responsabilità da parte della comunità umana ed una più equitativa e morigerata condivisione delle risorse. Lo stesso papa Giovanni Paolo II propugnò una “conversione ecologica”.
Solo un approccio più corretto e consapevole può fornire gli strumenti per mettere in grado chi deve prendere decisioni di capire meglio le intere conseguenze delle sue azioni. Le scelte di chi deve decidere possono essere adeguate ed efficaci solo se i dati tecnici, scientifici ed informativi che vengono loro forniti sono esaurienti, affidabili e pertinenti e se la loro azione non viene inficiata da risvolti compromissori di opportunità ed interessi politici che ben poco o nulla hanno a che fare con il bene comune.
Vi è infine la necessità, per poter prendere determinate decisioni che all’apparenza possono sembrare controcorrente o impopolari, di creare la base di un consenso tra la gente con opportune azioni di conoscenza, diffusione corretta dei dati e coinvolgimento attivo nelle scelte e nella gestione del bene comune. L’educazione, l’informazione consapevole, la partecipazione del pubblico sono elementi essenziali per la creazione ed il mantenimento di una cultura attenta alla tutela della biodiversità e all’attuazione di una vera democrazia ambientale. Solo da ciò può originare il consenso necessario alle scelte dei politici.
La conclusione è che è necessaria una nuova assunzione di responsabilità per realizzare politiche concrete di salvaguardia della biodiversità e di sostenibilità ambientale nel nostro sviluppo sociale ed economico. Se i nostri figli vivranno meglio o peggio di noi dipende da quello che faranno oggi i politici e da cosa saranno capaci di pianificare a più lungo termine.
Nessun altro essere vivente ha la possibilità di influire sulla biosfera come lo può fare l’uomo che, sulla base della sua capacità di comprensione, l’incisività della sua azioni e la sua libertà di pensiero è l’unico a potersi e a doversi rendere responsabile per il presente ed il futuro del pianeta e della sua stessa sopravvivenza.
Dario Sonetti è docente presso il Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Modena e Reggio Emilia ed è il coordinatore del Settore di intervento per la Cooperazione Internazionale “Foreste per Sempre” delle Gev della Provincia di Modena.
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